Testimonianze

Viaggio solidale 2017: Lo scambio dei disegni dei bambini del gemellaggio con Milano capace di una cosa bella

Questo è importantissimo per tutti i ragazzi in genere ma in special modo per quei ragazzi che vivono in un ambiente degradato dove le difficoltà quotidiane e l’emarginazione sono l’elemento dominante. Alla Colonia Venezia è tutto molto curato e bello, le aule, il giardino il refettorio, il campo sportivo recentemente ristrutturato. Frei Giorgio diceva che i ragazzi per crescere bene devono vivere nel bello anche se semplice, capire che dalla favela si può uscire, si può costruire una vita diversa. Io credo che i ragazzi che frequentano la Colonia Venezia ci riusciranno. L’ottanta per cento di loro, nonostante le difficoltà che sta attraversando questo Paese, trovano lavoro e, i più dotati riescono, con borse di studio, a laurearsi tornando, in alcuni casi a fare gli educatori alla Colonia. La coordinatrice pedagogica Lika Torres ne è un esempio: entrata bambina in Colonia Venezia con impegno e sacrificio si è laureata in pedagogia e ora, con amore a gioia aiuta i suoi concittadini più giovani. Anna Maria Maresca Gabrieli “Amare Colonia Venezia senza averla vista e conosciuta di persona è molto facile. Almeno per me lo è stato, vivendola attraverso i racconti di persone speciali.” Cominciava così l’articolo che ho scritto 4 anni fa su queste pagine, per presentare il gemellaggio tra le mie classi prime e i bambini e le bambine di Peruibe. Mai avrei immaginato che mi sarei trovata a raccontare, ancora su queste pagine, il mio incontro “vero” con la Colonia Venezia, il mio viaggio solidale con quelle persone speciali. Mai avrei immaginato di diventare un pezzetto vivente di quel “Ponte de Amizade” che in questi anni i bambini di Milano e di Peruibe hanno costruito con disegni, fotografie, collegamenti video, e di essere io, questa volta, a portare i disegni oltre l’oceano... Mentre scrivo mancano pochi giorni all'inizio del nuovo anno scolastico, i miei bambini sono quasi ragazzi e sono in quinta, aspettano i miei racconti sui loro “gemellini” e io non vedo l’ora di condividere emozioni, fotografie e riflessioni, sperando che nei loro cuori diventino semi di solidarietà, capaci di germogliare nel modo giusto mentre loro crescono e diventano cittadini del mondo. Il vero viaggio comincia nel parcheggio dell’aeroporto di San Paolo, dove gli abbracci prima di salire a bordo del van che ci porterà a Peruibe mi anticipano che sarà un viaggio “del cuore”. Quelle che si abbracciano sono tutte persone con piccoli e grandi pezzi di storia in comune. Con noi c’è anche Paulo, ragazzo sedicenne che sta tornando in Brasile per la prima volta dopo sei anni, con i suoi genitori adottivi, Giovanna e Amerigo, e me, sua prima maestra delle elementari. Alle nostre emozioni aggiungeremo anche il suo incontro con i fratelli che vivono a San Paolo. RECANTO COLONIA VENEZIA “Recanto” in portoghese vuol dire luogo speciale, intimo, accogliente. Recanto Colonia Venezia è proprio quello, e lo si capisce subito dall'armonia vivace di adulti e bambini, ma anche dalla struttura del giardino, delle costruzioni, del refettorio luminoso, del campo sportivo, una struttura stimolante e nel contempo protettiva e bella (e di bellezza questi bambini hanno un gran bisogno). È un recanto in cui si sta profondamente bene. Ne ho la conferma quando trascorriamo la giornata in mezzo ai bambini. È incredibile quello che possono fare la cura delle relazioni e la pedagogia dell’affettività (che passa anche dagli abbracci frequenti, dal contatto fisico rassicurante). I bambini e i ragazzi si aggirano convinti e motivati da un’aula all'altra, rispettosi dello spazio e delle persone. Il lavoro degli educatori è stato naturalmente lento e impegnativo, mi racconta Lika: “I bambini che arrivano qui hanno carenze affettive enormi, che superano di gran lunga quelle economiche e alimentari. La Colonia è il luogo che li accoglie quando non sono a scuola, riempiendo di senso il loro tempo che altrimenti sarebbe fatto di case vuote, strada, famiglie assenti, adulti non sempre rispettosi della loro infanzia.” I bambini che vedo saltellare da un’attività all'altra sono gli stessi che la prima sera ci hanno accolto con il tradizionale concerto in cui hanno cantato e suonato, serissimi e impegnati... semplicemente bambini, semplicemente straordinari. Come tutti gli adulti che qui si occupano di loro: gli educatori, il maestro di karate e quello di danza, quello di coro e di informatica, il dentista e il fisioterapista giapponese. E poi le cuoche, la psicologa, l’assistente sociale... È un recanto in cui gli sforzi di tutti convergono verso la costruzione di prospettive. È un recanto che dobbiamo essere felici di sostenere e per cui dobbiamo continuare a impegnarci! SAN PAOLO Mi servirebbe un intero informativo per raccontare l’intensità dei giorni a San Paolo. Visitare il Centro della Gioventù e la 7 luglio - dicembre 2017 “Scuola Professionalizzante Esperança frei Giorgio Callegari” nella favela di “Santa Teresinha” è stata un’esperienza molto forte. Gli spazi destinati alle attività sono piccoli e si sviluppano in verticale e mostrano la straordinaria motivazione sia di chi li ha strutturati e organizzati compiendo un miracolo architettonico sia di chi quotidianamente li anima e li riempie di significato. I minuscoli refettori, il campo sportivo sul tetto e quello incastrato tra i muri urlano al cielo e alle favelas che li circondano che i bambini e i ragazzi vengono prima di tutto, con il loro diritto al pane, all'educazione, al divertimento, al futuro. I nostri occhi europei si incantano davanti agli spettacoli e agli irresistibili banchetti che ogni centro ha preparato per noi, ma sono calamitati in continuazione da quello che si vede oltre le sbarre delle finestre, oltre la rete del campo sportivo. Da fuori le favelas sono come punteruoli che scavano il cuore, spietati. E rendono ancora più potenti i sorrisi, gli abbracci, le voci che ci accolgono dentro, tra le pareti colorate. Conservo queste immagini nel mio intimo diario di bordo insieme alla bella chiacchierata con Marina e Paolino Caldeira, che mi ha dato la misura dell’enorme impegno educativo e formativo del CEPE, delle potenzialità di trasformazione, della sana visione sociale (del sano progetto di frei Giorgio!) che accompagnano tutti gli sforzi messi in campo. Bambini e ragazzi, in questi spazi come in quelli che visitiamo il giorno successivo, imparano la cura di sé, delle relazioni tra loro, del loro futuro. E si prova a insegnare loro anche l’amore per la bellezza. ALTRE IMPORTANTI TESSERE DEL NOSTRO VIAGGIO – MOSAICO Le giornate trascorse nell’insediamento Quilombo di Nhunguara, nella “comuna” di Jandira e tra i Sem Terra (accompagnati da suor Alberta e dai suoi 96 anni di storia) meriterebbero un racconto a parte. Voglio però almeno condividere quanto è stato importante conoscere da vicino queste altre forme di lotta e resistenza contro l’individualismo e la povertà, questi sforzi di costruire comunità e solidarietà, questi ulteriori tentativi (pagati a caro prezzo) di alzare la testa e lavorare per prospettive future. Anna Maria e Giovannino sono stati il cuore del nostro viaggio. Organizzatori impeccabili e delicati, capaci di farci vivere esperienze intense quanto di costruire indimenticabili momenti di relax, instancabili emotivamente e fisicamente. Insieme a frei Mariano, che ci ha fatto il grande dono della sua preziosa compagnia per tutto il viaggio, non ci hanno “mostrato” luoghi e persone ma hanno condiviso con noi storie, esperienze, affetti e impegno. Viaggiare con loro è stato un privilegio. Quello che conoscono di questo Paese e soprattutto quello che contribuiscono a realizzare sarebbe stato impossibile da capire senza di loro. Se avessi una bacchetta magica regalerei a un gran numero di persone la possibilità di fare questo viaggio: a chi già capisce ed è sensibile, per capire e impegnarsi di più, a chi ancora non capisce, per aprire occhi e mente sul mondo. Perché ogni bambino del mondo è il nostro futuro.

Antonella Meiani


Una giornata di impegno ed emozione

Sono le 7:00 del mattino, qui a Colonia Venezia, tutto è pronto per una nuova giornata.

Faccio colazione con gli educatori, Delia, Lika, Ivalter, tutti gli altri, che davanti a un caffè condividono con me le priorità della giornata. Salete saltella in cucina insieme a Paula e Serina, in una cucina bollente non solo di latte fumante e pentole sul fuoco, ma anche di caldo equatoriale. Tutto deve essere pronto a breve, i bambini sono in arrivo e la colazione dovrà essere pronta.

Sono le 7:30, si apre il cancello di Colonia Venezia. Ecco che arrivano. Sono “meninos de rua”, sono oltre 150. Sono colorati, allegri, di corsa, con i loro zainetti. Sanno che possono contare solo su dieci minuti di tolleranza, poi il cancello si chiuderà alle loro spalle e per loro sarà un’occasione perduta. E nessuno la perde, perché è futuro, è speranza, è voglia di vivere, glielo leggi in quegli occhi affamati di gioia.

Entrano tutti, ordinati, educati e ad uno ad uno mi regalano un forte abbraccio mentre mi sussurrano “obrigado”. Poi prendono posto nel refettorio, i tavoli sono pronti e apparecchiati per la colazione. Tutti fermi aspettano l’educatore, si alzano e innalzano il loro grazie quotidiano. Ogni giorno un grazie diverso: una preghiera, una canzone, l’inno nazionale, una poesia. Grazie e poi… manine che rincorrono pane, burro e marmellata e scherzano e ridono e felicemente cominciano la giornata con una bella tazza di latte. Il piccolo pasto del mattino è assicurato: che bontà questa semplice colazione.

Ehi! Sono le 8:30, è ora di mettere al lavoro il proprio talento. Ordinati, ciascuno raggiunge la sua aula: danza, mosaico, canto, musica e strumentistica, arti marziali, informatica. E via, tutti impegnati a imparare e a capire che, non importa se vieni dal fango e se dividi una piccola camera con 10 fratelli. Non importa se la tua casa non ha un indirizzo e un numero civico. Non importa se i tuoi genitori non hanno potuto studiare e se la vita ha sorteggiato proprio te per un mondo che racconta miseria.

Sei a Colonia Venezia, un luogo di possibilità, un luogo dove c’è un’alternativa, un luogo protetto e dignitoso dove conta quello che sei, le potenzialità che hai, quello che vorrai diventare e quello che sarai.

Oggi c’è anche Juan, è venuto a salutare, a ringraziare e a ricordare 7 anni in Colonia Venezia. Studia giurisprudenza e sta per diventare Avvocato, vuole diventare Avvocato.

Nella quiete di Colonia Venezia, odo un canto, le note di un flauto, il battito delle punte del tip tap, il lieve martellare sui frammenti di mosaico.

Sono tutti al lavoro, lontani da quei facili guadagni e da quelle miserie di un paese tanto ricco di risorse da dimenticare la sua risorsa più grande, i suoi meninos.

Caspita! Sono già le 11:30. Il pranzo è pronto. Si ritorna in refettorio, ordinati, in fila a prendere il pranzo.

Mangiano, scherzano, sparecchiano, poi salutano “obrigado amanha!” (grazie, a domani!).

Sono le 13:00. C’è chi va, c’è chi viene. Il refettorio si anima nuovamente, arriva il secondo turno, allegro, ordinato e 150 nuovi abbracci mi aspettano. “Tudo bem? Obrigado!”.

Un nuovo grazie accorato si alza e tutti in fila a prendere la propria porzione. Poi via tutti diretti in aula con impegno a costruirsi un futuro migliore.

Driiiiin! Sono le 17:00, è l’ora della merenda. Cosa ci avrà preparato Salete per merenda? Qualsiasi cosa sia, sarà una bontà. Lei sì che è la regina del “pão de queijo”. È ora di tornare a casa, torna il silenzio in Colonia Venezia, all’impegno segue il riposo. Ci vediamo domani alle 7:30. Questa è la certezza da trentadue anni, grazie a tutti voi.

Cari amici, la lista d’attesa è lunga per Colonia Venezia, meraviglioso sarebbe azzerarla e poter accogliere tutti.

Io continuerò ad impegnarmi.

Obrigada.

Simona Tripoli

Il turismo solidale

Questo sì che è turismo. Non si pretende che tutti la pensino allo stesso modo, ma c’è una porzione significativa di persone che riconoscerebbero nel “turismo solidale” promosso dagli “Amici della Colonia Venezia” proprio quel tipo di vacanza che sul mercato non c’è e di cui si sente il bisogno.

I dodici giorni vissuti in Brasile, alla fine di ottobre, sono esattamente questo: uno strumento per conoscere davvero – e non in maniera artefatta e di “plastica” come accade in genere – un Paese.

E conoscere davvero significa entrare nelle case – anche nelle favelas – e parlare con le persone, osservarle nella normalità del loro vivere. Tutt'altra cosa dall'avere a che fare con camerieri e guide turistiche, con “figuranti” che mettono in scena lo spettacolo del folclore o la storia del loro Paese.

Mangiare un pezzo di dolce alla banana oppure un panino al formaggio in una favela o in un centro per bambini di strada è esperienza più sapida del poter scegliere fra la dozzina di piatti del ristorante di un hotel. Entrare nel villaggio dei discendenti degli schiavi, visitare le loro case e pranzare con loro è una presa di conoscenza più vera e interessante di qualsiasi incontro proposto da un qualsiasi tour operator che, quando va bene, consente solo di osservare da lontano, da “visitatori dello zoo”, la realtà.

Ma se al turismo vero si aggiunge il turismo buono il cocktail è completo. E questo a Peruibe e a San Paolo lo è stato. Visitare la cittadina e la megalopoli come si è fatto in quei giorni vuol dire conoscere la grandezza delle disuguaglianze e delle miserie ma anche delle capacità e perfino degli eroismi di un Paese. Non si può rimanere insensibili di fronte alle case di lamiera, ma neppure davanti al piccolo-grande gioiello di un centro, come le Colonia Venezia, in cui “non si produce niente, ma si costruiscono persone” per usare le parole di padre Mariano Foralosso.

Allora un turismo del genere è una fucina di conoscenze, di domande ma anche di risposte sulle questioni di fondo della vita. Non è cosa da poco, anzi. Oltretutto nessuna agenzia del turismo consueto potrà offrire, se non per casuali flash, una cosa del genere, perché bisogna essere intimamente percorsi da questo interesse per la vita e la società, e partecipi della realtà che si va a visitare, per riuscire ad organizzare un viaggio così orientato.

Per giunta, oltre che vero e buono, quello vissuto in Brasile è anche un turismo bello: lo spettacolo della natura trionfante ad un passo dal Tropico del Cancro è stupefacente e appagante. E’ la ciliegina sulla torta, anche se è la torta a valorizzare la ciliegina.

Ce n’è abbastanza – vien da dire - per fare un po’ di passaparola.

Giorgio Malavasi

Giornalista di Gente Veneta